La reazione europea al referendum indetto dal governo greco svela l’incompatibilità tra Europa neoliberale e democrazia. Ma Syriza non può farcela senza il sostegno di un movimento europeo. Saremo in piazza il 3 luglio, a Roma come in tutta Europa, dalla parte della Grecia che dice OXI (NO), per costruire collettivamente la resistenza alla dittatura finanziaria.
I Signori della moneta, europei e globali, vogliono lo scalpo. Lo scalpo di Tsipras, di Varoufakis, di Syriza e, chiaramente, dei poveri. Il segnale deve essere netto, inequivocabile: non è possibile alzare la testa, non c’è alternativa alle politiche neoliberali, nonostante la crisi ne abbia svelato il carattere violento, distruttivo, sbagliato. A più riprese, e in modo autocritico, il FMI ha ammesso gli errori fatti in Grecia. L’austerity non ha curato la malattia, ma la ha aggravata, tutti gli indici parlano chiaro: l’aumento del rapporto debito/PIL (180%), l’impoverimento drammatico della popolazione ellenica e il dilagare della disoccupazione (27%), ecc. L’autocritica può essere anche resa esplicita, ma di certo un governo anti-austerity come quello greco non può imporre un’inversione di rotta. Sarebbe un precedente troppo pericoloso.
Di più, e lo chiariscono le correzioni in rosso alla proposta avanzata da Tsipras ai creditori: bisogna continuare a dare una lezione ai poveri e lasciare impunite le rendite, liberi i ricchi di arricchirsi. Un atto di guerra vero e proprio, la guerra di classe del Capitale globale e finanziario contro chi prova ad alzare la testa, contro chi vuole contrapporre la democrazia al debito. La guerra dell’Europa ordoliberale, a trazione tedesca, contro l’Europa sociale e solidale. È evidente, nella drammatica vicenda greca si gioca per intero il futuro dell’Unione. Non tanto e non solo perché la Grexit metterebbe a rischio la tenuta dell’euro, ma perché un’Europa che schiaccia e caccia la Grecia – e intanto respinge i rifugiati alle frontiere – è una macchina di morte, oltre a essere un «gabbia d’acciaio» monetaria.
Tsipras e il governo greco, di fronte alla violenza dei creditori, hanno risposto nel modo più giusto. Il referendum, il cui esito non è per nulla scontato, riapre una breccia democratica contro la dittatura della Troika. Una breccia che sarà combattuta senza sosta, a partire dal ‘no’ della BCE alla richiesta di prolungamento dei prestiti fino al 5 luglio. Imponendo de facto la chiusura cautelativa delle banche elleniche, le tecnocrazie puntano a sfiancare i greci, a screditare Syriza e il suo governo, ad aumentare il panico, agevolare la vittoria del ‘sì’. L’intervento di stamane di Juncker – lo stesso che ha istituito i paradisi fiscali nel suo Lussemburgo, favorendo l’evasione sistematica di decine di corporations, lo stesso che ha incassato senza fiatare l’irridente rigetto del piano di distribuzione delle quote dei rifugiati – non lascia dubbi. Balbetta il bugiardo che non intendeva toccare salari e pensioni, ma tradisce anche agitazione. I Signori della moneta non possono tollerare la democrazia: lo sapevamo, lo diciamo e lo scriviamo da anni, ora il mondo intero non può non capire.
Varie ideologie che attraversano i movimenti anti-capitalisti, soprattutto in Italia, ritennero fatto marginale la vittoria di Tsipras e il miracolo di Syriza. Gli eventi di queste ore liberano il campo dalla fuffa e ci auguriamo impongano un silenzio riflessivo. Altrettanto, chiariscono tutti i limiti della generosa resistenza greca: la «rottura costituente» di Syriza, per essere efficace, deve estendersi sul piano europeo; non c’è rottura costituente senza movimenti autonomi capaci di mettere in questione i rapporti di forza. È evidente che non esistono scorciatoie, solo la diffusione continentale di una doppia rottura, dall’alto e dal basso, può rifondare l’Europa federale contro l’Europa della moneta e della morte.
Fonte: dinamopress.it