Atene, in questi giorni è una città calviniana, invisibilmente presa nei suoi percorsi simbolici, nelle sue linee insieme concrete ed effimere, attraversata dal dubbio.
Ma chi sono i protagonisti di questa storia, che non fanno che apparire confusi ai lettori europei?
Per cominciare, i “greci”. Lo so, lo so, vi state già immaginando barbuti uomini in peplo o donne con sandali di cuoio dorato. Ecco, questo fa parte del problema.
Dall’Europa, così come dalla Grecia stessa, la pressione di questo stereotipo dilagante fa sì che quando si parla della crisi greca, oggi, si parla della “culla della civiltà occidentale”, di filosofi classici, di mitologia.
Per capire la Grecia contemporanea, invece, bisogna parlare di altre cose. Si tratta, come per la Spagna e il Portogallo, di un paese che ha visto cadere la dittatura militare – sostenuta dai servizi segreti americani – solo negli anni ’70.
Una democrazia, quindi, decisamente giovane, e, importante, nella quale governi praticamente intercambiabili di conservatori e socialisti si sono succeduti a periodi alterni, guidati dalla volontà di avere una Grecia moderna, progressista, degna (sic!) del suo antico passato a qualunque costo purché guadagnandoci, sino alla recente vittoria di Syriza. È inoltre un paese dove – dalla fine della seconda guerra mondiale sino quasi all’avvento della dittatura dei colonnelli nel 1967 – c’è stata una guerra civile sanguinosa in cui i combattenti comunisti si opponevano all’esercito regolare nazionale nel quale militavano molti vecchi collaborazionisti nazisti e il quale, in linea con le polarizzazioni dei blocchi nell’Europa di allora, aveva come presupposto l’annullamento dell’opposizione comunista in Grecia.
Una storia che, per la sua ambiguità, non è insegnata nelle scuole.
Questa, dunque, è la società greca di oggi, ancora segnata da un passato recente di opposizione polarizzata ideologicamente, ma con un profondo nazionalismo diffuso, abituata negli ultimi 20 anni ad “avere soldi” e cresciuta nel mito del lifestyle estivo, con i locali, i cocktail, i flirt da spiaggia e le discoteche di orrenda musica dance mescolata alle sonorità della musica tradizionale.
“No allo strozzinaggio dell’UE e del fondo monetario internazionale, ad un nuovo memorandum, al debito U.E./Eurozona”
Poi ci sono “gli altri”, i cosiddetti “soliti ignoti”, che al lifestyle e alle politiche istituzionali rispondono alzando un sopracciglio; ma questa, per il momento, è un’altra storia.
Un altro protagonista importante è Syriza, un partito di sinistra radicale, secondo la sua stessa definizione, nato dalla coalizione di diversi gruppi della sinistra greca. La sua componente principale, il Synaspismos, è l’erede storico di uno dei due partiti comunisti greci, entrambi identificati con la sigle kke, l’uno detto “interno” (più europeista) e l’altro “esterno” (in quanto legato alle allora direttive di Mosca), e che ancora oggi è il kke .
Dopo essere rimasto per molti anni ai margini dell’agone politico, grazie alla sua attiva partecipazione alle manifestazioni e alle iniziative di autorganizzazione durante gli anni dell’austerity e ad una campagna basata sulla “dignità delle persone”, Syriza è riuscito a diventare il primo partito e a vincere le elezioni, cinque mesi fa. È riuscito a farlo grazie ad un blando populismo sulle retoriche della nazione, che sono tanto care a tanta parte della popolazione, e con un impegno attivo a riequilibrare una situazione di grande depressione sociale dovuta alle politiche di austerity.
Come è chiaro, le ambiziose promesse elettorali si sono scontrate contro la realtà dei fatti: la troika si è dimostrata irremovibile su qualunque possibilità di rinegoziazione delle condizioni del debito, e ha giocato sporco in praticamente tutte le occasioni, persino accettando a voce le proposte del ministro dell’economia greco Yianis Varoufakis, per poi tentare, il giorno dopo, di fargli firmare un documento diverso, con le misure stabilite univocamente dalla troika. O ancora, pochi giorni fa, è arrivata ad escluderlo dal tavolo delle trattative che riguardavano proprio la questione del debito del paese di cui è ministro, dicendo di essere una commissione straordinaria e quindi che “potevano fare come volevano”.
Diciamolo, Syriza non è un partito rivoluzionario, nel suo programma non ha mai puntato a straordinari ribaltamenti (per quanto, nel grigiume dell’austerity degli ultimi cinque anni, è sembrato a molti una ventata di aria fresca): il suo obiettivo economico si basa sulla permanenza in Europa della Grecia, e su una rinegoziazione del debito. Ad oggi però, questa strategia sembra essersi arenata davanti allo scoglio della tecnocrazia europea. Quello che colpisce, a livello di dibattito istituzionale, è l’uso spregiudicato dell’autoritarismo da parte delle istituzioni economiche europee nell’entrare nella dimensione politica nazionale greca. Intendiamoci, chi scrive non ha alcuna simpatia per le retoriche sull’unità nazionale e sulla patria, ma quello che sta avvenendo da questo punto di vista è interessante proprio perché raggiunge il livello 2.0 dell’imposizione autoritaria di una scelta unilaterale: la Grecia, il governo Syriza e la popolazione tutta, subiscono in questa dinamica una forte pressione infantilizzante, quasi debbano essere puniti per i loro eccessi e riportati all’obbedienza dal padre severo, ma premuroso, che è l’Europa. Il livello d’ingerenza è davvero diventato sfacciato: le istituzioni europee, senza mai rivolgersi direttamente alla popolazione greca, hanno lasciato che i mezzi di propaganda dei loro partner economici in Grecia, anchorman delle televisioni private in primis, creassero ad arte la percezione del panico, della catastrofe imminente per spaventare le persone e indurle a schierarsi con la certezza di una schiavitù economica già sperimentata e congeniale allo sfruttamento delle grandi compagnie d’affari del nord Europa, piuttosto che con un incerto futuro in mano ai “traditori del progresso nazionale”. Infatti, le riforme chieste dalla troika sono incompatibili con il programma di Syriza in quanto questa propone un alleggerimento della pressione economica dovuta alle misure di austerità, per concentrarsi su riforme sociali che rimettano in sesto un welfare state che in Grecia non è praticamente mai esistito. Certamente, e questo va sottolineato, la visione di solidarietà sociale di Syriza rimane legata alle istituzioni, e collide irrevocabilmente con le pratiche di autogestione diretta dei movimenti antiautoritari in Grecia (i nostri “altri” di prima). Questo, a ben guardare, crea un cortocircuito interessante perché limita di molto, e purtroppo, le possibilità di un coinvolgimento sociale dei movimenti e rappresenta, di fatto, una scelta più facile rispetto alla militanza antagonista, trattandosi di “aderire a un programma” elaborato da terzi, piuttosto che di autorganizzare la propria dimensione di vita.
Girando per le strade della città, è questa la triplice polarizzazione di cui si sente discutere tutti. Da un lato le folte manifestazioni per il “no” al referendum di domenica 5 luglio, formate per lo più da giovani donne e uomini che, crescendo in questi anni difficili, sono meno disposti ad accettare, ancora, ricatti economici autoritari da un’istituzione, quella europea, che li ha sempre considerati – in una metonimia curiosa e insensata con i vari governi nazionali greci – pigri, disordinati e approfittatori, e li ha costretti a emigrare all’estero o ad accettare contratti di lavoro non dignitosi. Dall’altro, le masse mobilitate dai neoliberisti: personaggi televisivi, aficionados del capitalismo appartenenti alle vecchie famiglie aristocratiche del paese o figli di quella borghesia finanziaria che ha fatto i soldi truccando i conti dell’economia nazionale durante il boom economico degli anni ’90, o persone semplicemente incapaci di mettere in discussione questo status quo: chi per reverenziale ammirazione dell’illusione patinata televisiva, chi per abitudine o paura. È su costoro che la propaganda delle televisioni private sta facendo presa, palesando scenari apocalittici e sacrifici necessari e dando l’impressione che il neoliberismo dei pochi possa essere la salvezza di molti. Dando, di fatto, la fascistissima illusione del sogno vip in pasto alla plebe.
La terza istanza, in queste ore, è quella rappresentata da chi non ci sta. Il movimento antiautoritario, com’è giusto che sia, si sottrae alla tenzone del referendum. Prende posizione altrove: nelle pratiche quotidiane di autogestione che non prevedono deleghe e rappresentanti, nelle pratiche attive di solidarietà sociale. D’altra parte però – e questo è il segno dell’intelligenza di questo movimento – benché consapevole della non risolutività ne’ del referendum, ne’ tantomeno delle politiche di Syriza, non pone questioni binarie “con noi o contro di noi”. Non si schiera univocamente contro la società stremata dalle politiche di austerity di cui per altro fa parte, ma si pone con essa in modo dialogico, facendo presente che, da lunedì subito dopo il referendum oppure da subito, esiste la possibilità – la necessità vitale – di una terza via.
Viola Vertigo
Fonte: bologninabasement.it